Complimenti a Giorgio Giletta (4 A CHI), vincitore del concorso di poesia indetto dall’Associazione ZONTA CLUB CUNEO sul tema della violenza contro le donne.
Martedì 21 gennaio 2020, nel corso di un emozionante momento di premiazione presso l’Aula Magna del nostro Istituto, alla presenza del Dirigente, delle rappresentanti della sezione di Cuneo dello Zonta Club e dei suoi compagni di classe, il giovane autore ha commentato i suoi versi, dal titolo “Niente più d’una rosa”, con un’analisi precisa e puntuale, spiegando la nascita della sua ispirazione, avvenuta in modo quanto mai curioso.
Non solo reazioni chimiche e formule, dunque, tra i banchi dell’ITIS, ma anche profonda riflessione e abilità poetica. Congratulazioni!
Instabile respiro del cielo
in un’armoniosa mattina d’inverno
afferra l’ultimo soffio vitale che
con inconsapevolezza infantile tiene l’anima per mano;
monossido di diidrogeno precipita,
in lacrime, su un dolore incolmabile di un cuore
ghermito e mille altri affranti.
Passi decisi improvvisano una melodia;
gli applausi, l’acquitrino
è un dolce fragore ora,
poi silenzio e un fracasso, nuovo,
lo sguardo tende al basso
la mano cagion di tanta violenza
tiene ora un giocattolo;
in quella soffitta,
vi era lui bambino,
la vita abbozzata,
la morte lontana forse.
Legiferare sul senso d’essere,
fosse soltanto una dannata nota sul curriculum.
Ira, svanita,
quelle dannate lancette, impassibili.
Nessun treno di ritorno.
Una brezza danza sugli abiti
è una corsa spasmodica,
lieta d’essere impotente.
Qualche lettera incisa,
un’anima innocente
tra le dimore di chi riposa.
Un momento e la solitudine si dilegua,
una donna alle spalle del suo corpo
svigorito, a capo chino, prega,
sono proprio uguali.. erano.
Verbo fioco stimola il vento
ragazzo ammira
null’altro che un’insignificante rosa
agli occhi di molti
innumerevoli spine,
ma quanti lievi petali;
un roseto, una comunità,
debolezze, virtù,
un gioco di peculiarità,
quale magnificenza alla sua vista,
nessuna malefatta.
Lacrime estinguono il distacco,
là sulla nuvola, ove la donna e
mille sospiri sopravvivono, si posano.
Eco d’ogni notte deve spettar al
fendere del sole negli occhi vigorosi.
Commento alla poesia “Niente più d’una rosa”
“Niente più d’una rosa” è l’essenza del componimento, elaborato come inno di speranza rivolto alle donne, ma anche agli uomini, poiché in fondo l’umanità è una sola.
Ho scelto di non seguire una metrica tradizionale, prediligendo i versi liberi e non curandomi del numero di questi per ogni strofa. Trasportato dalle emozioni, però, mi sono accorto di aver generato quattro sezioni, di cui la prima e l’ultima sono strettamente legate e le due centrali contengono l’azione. L’idea è nata osservando attentamente una nuvola rosa, una mattina in attesa del pullman alla stazione di Cuneo. Ho immaginato che proprio lassù, all’interno della nuvola, fosse adagiata l’anima della donna protagonista della storia e, insieme a lei, i pianti delle persone che le erano vicine. Viene presentato poi l’uomo che ha causato la morte di costei. Egli raggiunge la soffitta in seguito ad una perdita dal tetto e si imbatte in un giocattolo che rimembra intensamente l’infanzia. È allora che comincia un profondo ragionamento sulla vita e la sua durata; ora egli è in preda alla disperazione per aver rubato l’esistenza a un’innocente, che immaginava, come lui ed ognuno di noi, un futuro. Il pentimento è forte ed immediato, ma non vi sono “treni” per tornare indietro. In compagnia di sè stesso si reca al cimitero, ove dopo poco riconosce una presenza alle sue spalle: si tratta della madre della donna: da lei il ragazzo si sarebbe aspettato il silenzio o qualche parola di condanna. Inaspettatamente, la signora gli si rivolge gentilmente, mostrandogli una rosa e invitandolo a osservare. Spiega come la rosa sia costituita da numerose spine, simbolo dei difetti umani, ma allo stesso tempo da petali leggeri, allegoria delle virtù. Si rivolge, quindi, a un roseto in cui molte rose convivono senza dolore, metafora questa volta della convivenza nella comunità. Irrompe il pianto del ragazzo, le cui lacrime raggiungono la medesima nuvola descritta all’inizio. Gli ultimi due versi sono un imperativo, che mira a sottolineare l’importanza della possibilità per ognuno di poter ancora osservare il sole la mattina, se non è la natura a togliercene il diritto.
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